
Himapātakō Myāna letteralmente significa “Mantra della Neve” e rappresenta l’impermanenza delle cose terrene. Il vento è scultore della materia bianca che si deposita in alta quota, restituendo onde, spigoli, solchi, gorghi, buchi e tagli profondi nella superficie crostosa e ghiacciata della neve invernale, raccontando così il suo percorso casuale e selvaggio. C’è anche la presenza umana, ma come per questi disegni, unici ed irripetibili, presto sparirà, lasciando nuovamente nuda la roccia o venendo ricoperta da nuova polvere bianca.
L’impermanenza è uno dei tre pilastri fondamentali del buddhismo e sta a significare divenire o cambiamento; da cui anche il concetto di sofferenza per il decadimento delle cose ed il “non sé”, ossia il diventare altro da sé stessi in un continuum mutevole nello scorrere dell’esistenza. Come diceva anche Eraclito: Pánta Rheî, tutto scorre.








